Lavoro: voglia di realizzarsi. Molti fuggono all’estero

LAVORO ESTERO / ROMA – Non sono soltanto i disoccupati a lasciare il nostro paese in  cerca di occupazione, ma anche coloro che un lavoro lo hanno, si dimostrano pronti a lasciare tutto per trovare un posto migliore, che gli restituisca lo slancio e l’entusiasmo e sia più affine alle proprie inclinazioni. Il richiamo è costante per molti e coinvolge differenti figure professionali, dagli operai ai manager; tale esigenza è più forte in Italia che in altri paesi, forse a causa del fatto che sempre più spesso si è obbligati ad accontentarsi del lavoro trovato e ci si vede obbligati a rinunciare a quello sognato.

LE NAZIONI MIGRANTI – In Italia la percentuale di coloro che sarebbero pronti a lasciare la propria città natale o di residenza è del 25%, superata solo dal Messico, Thailandia e Indonesia. Un terzo della popolazione con un’occupazione è invece disposto a lasciare il proprio paese. Questi i risultati dell’indagine “Kelly Global Workforce Index” che ha coinvolto seimila italiani, promossa da una società di servizi per la gestione delle risorse umane, la Kelly Services; in tutto il mondo invece, i lavoratori interpellati sono stati 97 mila.

Stefano Giorgetti, direttore generale di Kelly Services Italia, spiega che  “in Italia il criterio meritocratico non sempre vince, pertanto in molti non escludono la possibilità di cercare altrove nuove opportunità, che possano appagare al meglio le proprie ambizioni. Inoltre i programmi universitari quali Erasmus e Progetto Leonardo, che nel nostro Paese hanno avuto un boom solo negli ultimi anni, abituano i giovani fin dagli studi all’idea di viaggiare per migliorare il proprio background professionale”.

NON SOLO I GIOVANI SCAPPANO – Molto più stanziali degli italiani, che solo per l’11% rifiutano l’idea di un trasferimento, sono i norvegesi (42%), gli svedesi (35%), gli statunitensi (34%) e i tedeschi (32%). Il 25% degli italiani sogna l’America come meta, mentre la metà della popolazione privilegia l’Europa. Ma non solo i giovani sarebbero pronti a un passo del genere; se quattro su dieci sono i ragazzi manager sotto i 30 anni disponibili a spostarsi, molti sono anche coloro che si trovano nella fascia d’età compresa tra i 30 e i 47 anni.

Tale bisogno nasce in primo luogo da una sensazione di disagio nei confronti del lavoro svolto, provata da quattro italiani su dieci e relazionata soprattutto con l’elevato numero di ore lavorative, le mansioni eccessive e i rigidi orari. Diminuendo il numero di posti di lavoro disponibili, le mansioni da svolgere e le relative pressioni si concentrano nelle mani di pochi.

Luca Bagaglini

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