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Robots impiegati nella centrale di Fukushima

ROMA – Da giorni si parla del terremoto/tsunami che ha devastato la parte nord del Giappone e il pericolo radiazioni proveniente dalla centrale nucleare di Fukushima. Il territorio nipponico è sempre stato famoso per l’utilizzo delle tecnologie e proprio queste ora vanno in soccorso degli studiosi. Affermazioni poi smentite. Ma il giornale Asahi Shimbun ha in questi giorni reso noto l’impiego di un minirobot nella “città del nucleare”. Artefice del mezzo il Nuclear Safety Technology Center (Nustec), ossia l’ente governativo che si occupa della ricerca e della prevenzione dei rischi relativi al nucleare.

CARATTERISTICHE DEL ROBOT – Alto circa 1 metro e mezzo, con un peso di 600 chili, l’automa è dotato di quattro videocamere, un sensore di temperatura, un braccio meccanico in grado di raccogliere campioni e muovere gli ostacoli, ma soprattutto di un segnalatore di radiazioni. Esistono diversi modelli della macchina: in questo momento sul posto è in azione la versione rossa (rileva-radiazioni) in attesa dell’arrivo di quella gialla, in grado invece di monitorare i gas infiammabili e raccogliere campioni di polvere da sottoporre ad analisi.

LAVORI IN CORSO – Quattro gruppi di ricercatori delle università di Kyoto, Chiba, Nagaoka e Tohoku si sono messi a disposizione delle autorità nipponiche con l’obiettivo di produrre altri robot tra i quali quelli snodabili per permettere di inviare ai soccorritori  immagini in tempo reale circa la presenza delle persone sotto le macerie o lo stato delle infrastrutture immerse, oppure da impiegare nella ricostruzione come già accade nelle prefetture di Chiba e in quella di Aomori.

Si moltiplicano in questi giorni gli interrogativi da parte dei cittadini riguardo l’impiego dei robot per le azioni di soccorso; il motivo è da imputare al fatto che nel 1999 ne erano stati progettati in elevato numero, in seguito ad un incidente all’impianto di preparazione di combustibile nucleare di Tokaimura.

Il professor Satoshi Tadokoro, dell’Istituto Internazionale per i Sistemi di Soccorso, ha spiegato ai colleghi della Texas A&M University: “Il progetto non ne è stato proseguito lo sviluppo perché le compagnie che costruivano gli impianti asserivano di non aver mai avuto incidenti e che le loro centrali erano sicure”.

Luca Bagaglini

Redazione

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