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Essere emotivi sul luogo di lavoro non sempre è negativo

ROMA – Tensioni e irrazionalità sul luogo di lavoro, è giusto reprimerle? Sono tante le persone che sentono il peso dei “rapporti sociali” durante l’arco di tutta la giornata lavorativa; problemi personali o professionali difficilmente possono essere lasciati da parte. Molti vivono questa incapacità come una debolezza e questo provoca stress e difficoltà nell’adempiere alle proprie funzioni.  Bruno Rossi, professore di Pedagogia delle organizzazioni all’Università di Siena, in merito ha sostenuto con il suo libro “Lavoro e vita emotiva” la tesi che la vita professionale si basi su elementi irrazionali.

“La vita organizzativa – ha detto – è una vita emozionata ed emozionante perché nel lavoro non solo ‘si fa’ ma ‘si sta’, si abita un contesto, con tutti i problemi di convivenza che possono riversarsi sull’efficacia e sull’efficienza della produttività”.

ACQUISIRE LE COMPETENZE SOCIO-EMOTIVE – Spesso il problema dell’emotività non può essere superato, tuttavia è possibile sfruttarlo a proprio  vantaggio. “Ho elaborato delle proposte formative – ha spiegato Rossi –  per far guadagnare al management e ai dipendenti le competenze socio-emotive finalizzate allo star bene e ho la convinzione che questo abbia una ricaduta anche a livello organizzativo sulla produttività aziendale”.

DIRIGENTE “LEADER EMOTIVO” – Innanzitutto a dover cambiare atteggiamento dovrà essere colui che ricopre i ruoli più importanti; le parole chiavi sono flessibilità e disponibilità con i propri dipendenti. “Innanzitutto – ha evidenziato  – il dirigente dovrà considerare i propri dipendenti non come una spesa o come uno strumento, ma come una risorsa: tra le competenze alle quali i lavoratori devono essere formati non ci sono solo i saperi ‘tecnici’, ma anche le abilità emotive e interpersonali, in particolare la capacità di saper modulare le proprie emozioni nel rapporto con gli altri”.

Ovviamente anche i dipendenti dovranno contribuire partecipando alla vita emotiva dell’azienda.  La formazione “deve essere continuativa, non a spot”, tuttavia “bisogna prestare molta attenzione all’organismo di formazione a cui ci si rivolge, e diffidare soprattutto di chi porta in azienda pacchetti preconfezionati”. “C’è bisogno di una cultura della formazione, che in Italia non è molto diffusa”, ha concluso il dottor Rossi.

Luca Bagaglini

Redazione

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